Ricordo e rimpianto – Dario Bellezza – 1984
Il mondo dipinto da Rodolfo Cristina non esiste più. La realtà rappresentata nei suoi quadri è ormai irrimediabilmente sparita, e bisogna guardare le opere che il pittore pozzallese ha lasciato a noi posteri come se fossero una piccola recherche attraverso cui, nei suoi nostalgici frammenti, si può ricostruire l’aspetto esteriore e lo spirito dominante d’un mondo e d’un tempo scomparso. Nel momento stesso in cui Cristina si metteva all’opera, del resto, il suo era già l’atteggiamento nostalgico di chi ricorda un mondo lontano eppure sentito ancora come spiritualmente proprio: il pittore era infatti lontano dai luoghi natii, essendosi trasferito nella grande città, a Roma, in cerca di fortuna.
Quel che voglio dire è che alla nostalgia che i suoi quadri portano con sé per naturale dettato ed intrinseca forma (essendo lo specchio d’un mondo scomparso) s’aggiunge la nostalgia con cui il pittore stesso s’era accinto a ricordare il mondo visto con gli occhi della gioventù. Perché, lo ripeto, quel mondo fa ormai parte d’un lontano passato. Oggi, e lo si ripete fino alla sazietà, viviamo in un’epoca consumistico-industriale che sta purtroppo distruggendo le civiltà arcaico-contadine rispecchiate dalla pittura di Cristina. Ad esempio, chi decida d’andare a Pozzallo (paese natale del pittore) scopre con sorpresa che ”quel piccolo paese” di pescatori (tale era la definizione datane dai primi critici del Cristina) è oggi un grosso centro turistico dove non c’è quasi più traccia né di contadini né di pescatori.
Insomma l’esotismo siciliano è fuggito via urlando per rifugiarsi in qualche altro terzo mondo mentre la distruzione imperterrita del paesaggio siciliano fa sì che siano quasi irriconoscibili i luoghi in cui Cristina visse la propria giovinezza, È rimasto il mare, ma anche quello non è lo stesso d’una volta.
Lo sfascio del paesaggio non si ferma dinanzi alle civili proteste degli intellettuali. Ad esempio Piero Guccione (che è di Scicli) ha voluto segnalare la propria indignazione per la distruzione sistematica del carrubo (albero meraviglioso che cresce in queste zone) con un’intera mostra dedicata a questo tema. Moltissimi giornali, anche fra i periodici di grande diffusione, ne hanno parlato, e si sperava dunque che non si tagliassero più alberi di carrubo; la distruzione invece è continuata.
Se Cristina rinascesse oggi non riconoscerebbe più i suoi luoghi d’origine, e sicuramente dipingerebbe in maniera assai diversa.
Credo che nella biografia di Cristina la sua andata a Roma sia un fatto importante e traumatico. Non è certo un caso il fatto che questa città non sia mai rappresentata (almeno nei quadri che ho visto), ma che sia invece rimasto legato alla memoria. Il ricordo ed il rimpianto, anzi, devono averlo ucciso. Il rimpianto naturalmente di una terra abbandonata per conquistare la capitale dell’arte, Roma, città tentacolare e mostruosa, dove la fantasia di Cristina deve aver sofferto tutti i sintomi di una claustrofobia metropolitana. Guardando i suoi quadri precedenti al trasferimento, e soprattutto quelli giovanili, si scopre che il pittore di Pozzallo non s’era ancora arreso alla realtà brutale della quotidianeità adulta, ma era sospeso nella fluttuante idealizzazione di una giovinezza perenne.
Ed è questa che egli ha voluto riconquistare pensando alla sua mitica Sicilia rivisitata nell’incubo e nel sogno. Potrà sembrare strano, ma recandomi a Pozzallo m’ero fatto un’idea simile a quella che poi ho potuto dedurre dai suoi quadri incandescenti; è difficile poter ricostruire la personalità d’un uomo che non s’è conosciuto, anche se si tratta d’un artista, soltanto dalle sue opere, restate lì inermi e ricordarcelo.
Eppure Cristina esce fuori nella sua vibrante eleganza di un uomo siciliano, che ha sofferto e meditato la lezione della luce e del colore novecenteschi.
Due quadri m’hanno colpito tanto da desiderare di possederli; e il caso vuole che siano due quadri giovanili (paludati in maniera neoclassicistica) in cui più scoperto è il gioco delle citazioni, ma è anche più limpida la psicologia che vi si nasconde ed acquieta.
Uno di questi quadri, dipinto a sedici anni, rappresenta un caso freudiano tipico, un edipo scatenato: il rapporto padre-figlio in cui la sfuggente psicologia di Cristina trova modo d’oggettivarsi in una lirica ed effusa malinconia virile. Il rapporto con il padre dev’essere stato determinante per la scelta del mondo arcaico in cui Cristina s’è mosso nel corso della sua carriera di pittore, e che ce lo rende amabile, come un personaggio che ha lottato contro i Moloch del Consumismo deteriore che ha sconvolto anche la pittura contemporanea riducendola a poco più di uno scherzo violento e senile.
Dario Bellezza