Testimonianza di Franco Miele – 1979
La pittura di Rodolfo Cristina ha il pregio di imporsi per una robustezza di impianto compositivo-cromatico che rivela come l’artista, con rara padronanza dei mezzi espressivi, giunga ad una ‘messa a fuoco’ dell’immagine, i cui valori si significano inequivocabilmente.
Il pittore, che ha alle spalle un ampio tirocinio di studi e ricerche oltre ad una intensa partecipazione a rilevanti rassegne d’arte, sa altresì controllare l’immediatezza e la ridondanza del suo linguaggio, castigando, se necessario, lo slancio intuitivo e selezionando via via temi e materiali, contenuti e forme, al fine di ottenere un equilibrio di rapporti in una visione unitaria.
In tal senso possiamo sottolineare che Rodolfo Cristina non abusa mai delle sue stesse prerogative, dando per così dire una concreta disciplina alla stessa libertà inventiva. L’estro si armonizza di conseguenza alla logica, per cui l’opera pittorica è sempre il risultato di una meditata presa di possesso del mondo oggettivo che viene riproposto alla nostra attenzione in una sintesi fantastico-razionale.
Sulla realtà viva e palpitante della Sicilia Rodolfo Cristina ha recentemente operato con particolare impegno, per una scelta di campo in cui i suoi sentimenti di uomo e di artista potessero non solo sostanziarsi reciprocamente, ma prendere quota in un ordito di più largo respiro. Si tratta di una realtà che il pittore ha come perlustrato e sviscerato nella sua essenza, non lasciandosi influenzare minimamente né da suggestioni momentanee né da superficiali sensazioni, né soprattutto da intenzionalità folkloristiche.
Ci ha così dispiegato una Sicilia non retorica, non oleografica, non magniloquente, ma al contrario tutta sentitamente umana, anche nel sottile rapporto individuo-natura, e tutta racchiusa in ‘cadenze’ scansioni e rifrazioni luministiche di eccezionale fattura tra estensioni di tono e trapassi di timbri. Una Sicilia, in breve, compiutamente ‘orchestrata’ nei suoi più autentici motivi che la rendono liricamente quasi approdo ideale per il nostro bisogno di sfuggire alla prigionia quotidiana della vita moderna. Campagne dalle variegate successioni di piani si aprono al nostro sguardo accanto a vecchi villaggi di marinai; casolari dispersi tra le colline si susseguono ad ardite montagne e a rocce vigorose proiettate sul mare, mentre i volti di donne, pescatori o contadini si rivolgono fissamente ad un’ipotetica linea di un lontano orizzonte. Sono occhi assorti e ieratici che sfidano il tempo.
Ci troviamo così dinanzi a squarci di natura e di umanità che superano i ristretti confini di una situazione, poiché dalla loro incisiva angolazione è possibile intavolare un colloquio del tutto intimo con l’infinitezza del cosmo.
Una luce, che si fa soprattutto interiore, permea la rappresentazione, affiorando tra rimbalzi dalla tessitura stessa delle cose. Un silenzio solenne avvolge infine questa Sicilia di Cristina: un silenzio che scava quasi nella terra e permea addirittura il sottosuolo, per farsi evocativo d’una storia di miti e leggende.
Non si pensi tuttavia che questo senso di solitudine si traduca in isolamento e scetticismo da parte dell’artista. Al contrario inaspettatamente ci stimola ad un profondo dialogo tra ciò che noi siamo e ciò che si presenta dinanzi come un emblematico interrogativo.
Non è casuale che i luoghi che l’artista ha umanamente scoperto e fissato in tante immagini eloquenti siano effettivamente reperibili. Pozzallo, Palamentano, Primo Scivolo, La Sorda e così via sono gli ancoraggi di questa sollecitazione al colloquio che per l’appunto il pittore provoca nella nostra coscienza, al fine di collocarsi in quella nuova dimensione, in cui il particolare si schiude come un riflesso dell’assoluto.
La Sicilia di Rodolfo Cristina vive di conseguenza autonomamente, così come è ‘raffigurata’ in una imprecisata ora del giorno nella controluce o quando le ombre non sono più taglienti.
In questa proiezione pittorica i rosati delle abitazioni si collegano ai bruni delle barche solitarie, il verde cinabro o smeraldo degli alberi alle ocra dei terreni, il ceruleo-violaceo dei cieli al cobalto dei mari in una serie di affascinanti contrasti, che pur si accordano reciprocamente. Ed è proprio in questa ‘dialettica integrazione’ che l’opera di Rodolfo Cristina puntualizza in un discorso squisitamente pittorico il senso di quella bellezza che Schelling indica ne: l’infinito espresso in modo finito. È come se la sua mano d’artista avesse staccato una quota dall’immensità del creato, per offrirla alla nostra attenzione.
Franco Miele