Testimonianza di Natalino Amodeo – Atti della Retrospettiva Antologica – 1984
Discorso pronunziato dall’on. Natalino Amodeo a quattro anni dalla morte.
Prima è stato l’elogio comune a chi lascia la terra. Poi la chiusura nei soffitti dei ricordi dove va posta la memoria di ogni caro estinto. Ora il momento di elargirgli più spazio, per esaltarne la luce, per non celare le ombre.
Della pittura di Rodolfo Cristina parleranno altri, certamente più esperti. Se dovessi dire qualcosa, da non addetto ai lavori, manifesterei l’impressione più viva che in me ha suscitato sempre la sua pittura: ricerca di verità, non come assioma di verità.
Altro non saprei dire.
Sofferente, macerato dentro, ribelle, poi quieto, accomodante, conformista, quasi rassegnato, e di nuovo battagliero, arrabbiato, anarchico, proletario. E’ di Cristina uomo devo parlare. Nel farlo spero che l’amicizia, antica e profonda, la stima sincera non mi inducano ad essere indulgente sui suoi difetti e prodigo sulle sue virtù. Parlerò schiettamente degli uni e delle altre: l’amicizia vera accetta l’insieme. Nato da famiglia modesta fu orgoglioso dei suoi natali, del padre soprattutto e dei fratelli. Tutti si prodigarono con grandi sacrifici per mantenerlo agli studi. A tutti fu grato e a tutta la famiglia mostrò, poi, riconoscenza. La nascita, l’educazione, l’ambiente nel quale nacque e visse se li portò dentro come medaglie al petto. Il suo lavoro fu impregnato della sua infanzia povera, del pane duro, del sudore della sua gente.
In mille quadri riprodusse il dolore, il peso delle sconfitte, la mortificazione di “classe”, i ritorni delle campagne di contadini piegati, non ancora affrancati, curvi fino a terra, le fatiche di marinai dai volti scavati dal sole e solcati dalla salsedine. La sua pittura non è mai senza anima. Le case assolate, gridate, urlate come bisogno, dipinte come tana per mettere al sicuro i figli e la moglie. La sua pittura, come i suoi sogni, non fu mai crepuscolare. Io non so quanta vita avrà la sua pittura, so solo che essa rappresenterà sempre la sofferenza degli umili. Nella sua opera Rodolfo espresse il suo mondo. Lavorò fra contraddizioni, scisso non tanto fra l’intolleranza e la disperazione, piuttosto fra ribellione e ricerca di un’ancora alla quale aggrapparsi.
Tuffatosi nella politica attiva fu costretto a misurarsi con una realtà che non aveva previsto e tanto meno desiderato. Iscritto al PCI, Consigliere comunale, conobbe e poi divenne amico di un sacerdote di Modica, uomo colto, intelligente, di grande acume politico. Ne venne attratto, si attrassero reciprocamente per quei valori che ognuno di loro si portava dentro. Rodolfo cerca, dialoga, confronta le sue idee con grande passione (propria del carattere) in una cultura diversa dalla sua. Scopre un’altra sfaccettatura dell’arte, quella “sacra”. Con questa nuova amicizia scopre la Chiesa. Restaura capolavori di immagini sacre. Ne dipinge alcune per le Chiese del ragusano e del siracusano. Questa sua svolta non piace al Partito. Un comunista che dipinge in Chiesa, per la Chiesa è l’eretico della religione marxista. Viene accusato, processato.In occasione del Festival provinciale dell’Unità, il Partito lo invita ad un dibattito culturale. La sua partecipazione sarebbe dovuta essere funzionale al partito: una sfida alla Chiesa ed ai suoi amici Preti, una dichiarazione di fedele appartenenza al Partito Comunista. Rodolfo sventa la manovra e non partecipa alla manifestazione. Per il PCI il rifiuto è la prova del tradimento. Espulso dal partito, si trasferisce a Roma. Cristina a Roma lavora, si fa conoscere, produce per la “Barcaccia,” prende contatti con molti galleristi. Conosce monsignore Alberti che diventa un suo estimatore.
Torna a Pozzallo. Ora ha una “casa” sua. Anzi, tre appartamenti, tanti quanti sono i figli. Gli manca qualche anno per andare in pensione. Si mette in aspettativa. Lavora a tempo pieno. Pinuccia, la moglie, vigila sulla sua pigrizia. Sono lontani i tempi quando dipingeva per vivere. Non so se per amicizia o perché del nostro gruppo di amici a Pozzallo ero rimasto solo io, chiede l’iscrizione al PSI e alla “Società Operaia di Mutuo Soccorso” della quale, a quel tempo, ero Presidente. Era il 1975. Si era appena conclusa la campagna elettorale per le elezioni amministrative ed il PSI aveva registrato una sonora sconfitta. Con la sua entrata nel PSI i nostri rapporti si raffreddano e alla “Società Operaia” mi fu, inspiegabilmente contro. Con Croce potrei dire che fra noi passò a quell’epoca una mirabile concordia di parole e discordia di fatti. Non restò molto nel PSI, tornò al PCI. Vi tornò con l’entusiasmo di un ragazzo con lo stesso entusiasmo che egli metteva allo inizio di ogni opera nuova. Indubbiamente la politica non fu mai per lui un tranquillante. Nella politica fu sempre un irrequieto. Ritornammo ad essere amici, amici per la pelle. Nel 1979, candidandomi alle Elezioni politiche per la Camera dei Deputati mi incoraggiò a presentarmi divenendo poi propagandista convinto. Si preparava a festeggiare il successo come il taglio di un traguardo appartenente a me, a lui, a tutti gli amici di un tempo, a quelli che non erano più, agli altri che erano lontani. Non gli fu dato provare questa gioia. Qualche settimana prima del risultato, improvvisamente, una grande pena nel cuore. Non interpretai la sua morte come un presagio negativo. Piuttosto, come un aiuto più forte, trascendentale, assoluto che possono dare soltanto quelli che ci lasciano, amandoci.
Natalino Amodeo
Discorso pronunciato alla fine dei lavori
Mi è capitato di intervenire due volte in occasione dell’Antologica di Rodolfo Cristina e tutte e due le volte con particolare personale turbamento. Eppure ogni intervento, per rispetto di chi ascolta, richiede serenità, riflessione, scelta di termini appropriati, ricerca di parole evocatrici per esprimere sentimenti. Capita invece di dover intervenire con mente preoccupata, con il pensiero sconvolto da accadimenti che nel giro di poche ore ci travolgono facendoci passare dall’incredulità allo sgomento. Sono gli avvenimenti della vita, del quotidiano, del giorno dopo giorno che segnano il nostro sentire e tracciano la nostra esistenza. Questa vita che si conquista lottando, combattendo, abbattendo gli idoli, dando il giusto posto ai valori: la vita come lotta, la vita come conquista.
Per Cristina la sua vita fu questa. Lotta cruenta sempre, impari spesso. La lotta per sopravvivere, per vivere, fu una costante in lui. Ora possiamo affermare che in quella lotta Rodolfo fu vincente. Lo dimostra il fatto che a quattro anni dalla sua dipartita noi parliamo di lui come fosse ancora con noi. Invece di quanti vivi non si parla, come fossero morti. Alla fine, Rodolfo l’ha proprio vinta questa battaglia. Perfino quella che sembrava fragilità si è mostrata forza. Con il suo retaggio di arte Cristina ha vinto la morte, ed è rimasto per sempre vicino alle persone più care, agli amici più intimi e lo ricorderanno le generazioni future.
Natalino Amodeo